Il dolore, questo essere temuto, che coltiva in noi fiori e frutti e germoglia arazzi e tappezza le pareti di spine odorose.
Fortunat* chi ne sa far scaturire parole preziose, piene del proprio io più vero, sincere e vere come solo il fondo più fondo di noi può veramente essere.
“Che cosa strana la vita – quel misterioso organizzarsi di una logica implacabile per un futile obiettivo. Il massimo che potete sperarne è una certa conoscenza di voi stessi – cui arrivate troppo tardi – una messe di rimpianti inestinguibili.”
“Cuore di tenebra” J. Conrad
La sera è silenzio e malinconia.
Ho l’impressione che qualcuno ascolti il mio pensiero e lo stringa forte, come a spezzare un ramoscello d’ulivo.
Sentirsi infranti da una forza invisibile che schiaccia inappagata ogni centimetro di pelle, fino a far soffocare.
Vorrei carpire un bagliore di stella dal nulla.
Essere libera da tutto ciò che mi impedisce di essere.
Vedo lontana una quiete, ma è ancora un’ombra.
Fa caldo e penso al mare.
E se penso al mare penso a te, al tuo ombrellino, alla tua sdraio, ai racchettoni e al silenzio tutto intorno.
La tua voce mi squilla dentro come la tua risata.
Il male della mancanza sale e brucia.
Questo è vivere senza di te, il tuo spingermi a essere selvaggia per il bene del mio corpo, il tuo andare dove capita pur di andare, insieme.
Ti amo ogni giorno, ogni giorno il dolore è un ricordo di pena che non riesco a estinguere, che non so domare.
Quanti campi che come spugna vorrebbero
arricchire il tuo passato, anche il
tuo presente soffocato.
Quante viuzze del tutto pittoresche
che tu vorresti tramutare in significato
dell’essenza di questa tua sofferenza.
Ma geme – nell’essenza della tua sofferenza –
un desiderio di sonno o di carne. Oh
come i merli tacciono! Hanno confuso
la tua idea della pace con il tramonto
che offrì ai tuoi occhi penduli solo
un sofisticato sequestro della tua brama
d’essere solo, e te stesso.
È arrivato il vento a scompigliare
anche le ultime certezze.
Mi inchino come un ramo
sperando non mi spezzi,
mi accarezzi, mi faccia
da madre, mi baci in faccia,
mi odori mi punga mi diffonda.
Mi inchino e gli lascio il passo.
Me ne giunga la mancanza.
Mi tormenti il suo ritorno.
La bellezza dei denti accavallati.
Come se anche loro, oltre alla lingua, volessero dire, arrampicandosi.
C’è un piccolo mostro
dentro di me
un piccolo mostro che
mangia ogni coppa
di felicità.
Lo chiudo in cantina
ma le sue mascelle lavorano
perché è instancabile.
Si annoia e allora mangia.
Non posso biasimarlo.
In tanto vuoto mi annoierei anch’io.
Quando verrò a dirti:”Sei un’opera d’arte,un fiore raro”, tu, come un vegliardo dalla chioma bianca, la faccia girata di 3/4, così decorativo, mi dirai:”È un problema puramente individuale “.
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Rossa e nera 